venerdì 21 agosto 2015

Perché, e come, andare a scuola a piedi in autonomia.



A scuola a piedi (e ritorno), è una pratica che per molte generazioni era routine, senza bisogno di progetti speciali. Sono stata accompagnata da mia mamma il primo giorno di scuola elementare. Dal giorno dopo in poi non è più successo, non era necessario, né lo desideravo. La strada era condivisa da pedoni, ciclisti e, certo, molte meno auto di oggi. Il percorso quotidiano variava con il variare delle stagioni, o delle nuove amicizie, con appuntamenti lungo la strada per arrivare insieme a scuola, mentre al ritorno le divagazioni dipendevano da accompagnamenti reciproci, giochi e altro. Ci conoscevano tutti i negozianti: il panettiere, il fruttivendolo, il barista, il barbiere, l’edicolante, oltre ai vicini di casa. Nel frattempo il nostro ‘raggio di azione’ si allargava piano piano, perché vicino c’erano anche il centro parrocchiale, il giardino pubblico, la piazza, il fiume.
Oggi, come scrive Franco La Cecla “le città si sono defisicizzate, fino a una dis-incarnazione quasi totale.” (Franco La Cecla, Contro l’urbanistica, Einaudi, 2015)
La strada è fatta per le auto, una minaccia, così come una minaccia viene percepito lo spazio aperto, pieno di insidie. Dove non c’è il rischio di essere investito (strada), c’è un malintenzionato che ti potrebbe aggredire (parco, spazio pubblico).
Rischi e pericoli reali o percepiti possono essere ridotti o evitati. I percorsi casa scuola possono essere messi in sicurezza. Si può creare un ‘tessuto connettivo’ e un controllo sociale che rende di nuovo fattibile ciò che un tempo rientrava nella pratica quotidiana. Fare in modo che i bambini possano camminare e andare in bici porta un grande beneficio per tutta la collettività, sotto molti aspetti. Poiché può fare da volano per ripensare l’uso dello spazio, restituendolo ai ‘corpi urbani’. Benefici per l’ambiente, per lo stile di vita, per la salute, per la sicurezza, per la socialità, per l’integrazione.
Negli anni si sono moltiplicati i progetti orientati ad una mobilità più sostenibile; molti riguardano proprio i percorsi casa scuola. Come in molte altre parti d’Italia, nella provincia di Treviso sono stati attivati molti percorsi pedonali, grazie all’incontro di sensibilità e volontà di tecnici comunali (mobility manager), genitori, azienda sanitaria locale, associazioni, scuole. A Treviso tutti e cinque istituti comprensivi hanno lavorato e organizzato i Pedibus, anche grazie al lavoro volontario di molti genitori. Esiste un piano comunale per la messa in sicurezza dei percorsi casa scuola. Sono maturate esperienze di percorsi in autonomia, laddove si sono create quelle condizioni di sicurezza e di alleanza tra tutte le parti interessate.
È stato da poco pubblicato il volume “Andiamo a scuola da soli! Percorsi in autonomia e movimento casa-scuola: indicazioni operative” curato da Federica Michieletto e Susanna Morgante, promosso da Regione Veneto, MIUR Veneto e progetto regionale Muoversì. Il testo si configura come uno strumento utile per avviare e gestire i percorsi casa scuola, ma anche per includere nella programmazione educativa e didattica curricolare pratiche di movimento quotidiano, di esplorazione, di conoscenza del territorio. Abbiamo portato il nostro contributo, nel capitolo “Oltre il Pedibus con Moving School 21. Scarpe Blu: per una didattica della mobilità urbana a misura di bambino”, che illustra i contenuti di un libro-manuale (“Scarpe Blu. Come educare i bambini a muoversi in città in autonomia e sicurezza”, La Meridiana, 2013) nel quale si portano ad esempio alcune buone pratiche italiane ed europee, oltre che molti materiali didattici.
I tempi appaiono dunque maturi per fare il salto di qualità dalle buone pratiche alle politiche, ovvero dal superamento del progetto che diviene regola e comportamento quotidiano. Non è così. Cambi di amministrazione sovente implicano la sospensione, quando non l’affossamento, di pratiche consolidate. Per disinteresse, per segnare una discontinuità con il passato (senza andare a vedere cosa funziona e che cosa no), per la non comprensione del loro valore.
Ma non sono solo le amministrazioni locali a ‘rallentare’ o mandare in stand-by lo sviluppo capillare dei percorsi casa-scuola. Sono anche scuole (non tutte) le cui dirigenze scolastiche ‘frenano’ e in qualche caso vietano la promozione dei percorsi casa scuola, soprattutto se si parla di percorsi in autonomia.
Lo scorso anno scolastico la direzione generale dell’Ufficio Scolastico Regionale del Veneto, in data 1 dicembre 2014, ha inviato una comunicazione con indicazioni relative all’uscita autonoma da scuola degli alunni. L’enfasi è posta sul dovere di vigilanza e le necessità di disciplinare le modalità di adempimento dello stesso, sulle responsabilità, sui riferimenti alla giurisprudenza in materia di uscita autonoma degli alunni. Attenzione dovuta e sacrosanta, che tuttavia toglie ‘respiro’ e ‘spazio’ all’ultima parte della comunicazione, che riguarda “le modalità di svolgimento del dovere di vigilanza nei casi eccezionali di uscita autonoma”. Già il dato dell’eccezionalità inibisce l’adozione di decisioni in merito ai percorsi casa-scuola in autonomia (in ogni caso sconsigliati). Se si va a leggere il testo con attenzione, si intravvede la possibilità, se pur in forma ambigua, di adottare strategie che permettano l’uscita in autonomia, laddove si stringano alleanze tra scuola, famiglie, enti locali. Un segnale molto debole, che meriterebbe ulteriori e necessari approfondimenti, se davvero si vuole “promuovere i percorsi in autonomia e movimento casa-scuola”.
È disponibile ampia documentazione, nazionale e internazionale, nonché dossier e strategie promosse tanto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra le quali la Carta di Toronto, quanto dalla Commissione Europea.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche da anni ha avviato il progetto internazionale “La città dei bambini”; in quell’ambito trova ampio spazio l’ iniziativa  “A scuola ci andiamo da soli”. Due anni fa sono stati pubblicati gli esiti della ricerca internazionale “Children’s Independent Mobility - La mobilità autonoma come aspetto critico dello sviluppo dei bambini e della qualità della vita” cui ha partecipato l'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr), promossa dal Policy Studies Institute di Londra, che ha coinvolto l’Italia, la Germania e altri 15 Paesi del mondo. I dati italiani sono pubblicati sul sito: http://www.lacittadeibambini.org/ricerca/allegati/Report%20italiano1.pdf
“La mobilità infantile è uno degli aspetti che ha maggiormente risentito della grande trasformazione dell'ambiente urbano, con ricadute negative sul benessere e sullo sviluppo psico-fisico. L'autonomia di spostamento dei bambini italiani nell'andare a scuola si è ridotta, passando dall'11% nel 2002 al 7% nel 2010, mentre l'autonomia dei bambini inglesi è al 41% e quella dei tedeschi al 40%", spiega Antonella Prisco, ricercatrice dell'Istc-Cnr. "Per il tragitto di ritorno, soltanto l'8% dei bambini italiani lo compie da solo, a fronte del 25% dei coetanei inglesi e del 76% dei tedeschi. Il divario di autonomia con gli altri paesi sul percorso casa-scuola permane ampio anche per i ragazzi delle medie inferiori: il 34% degli italiani, contro il 68% dei tedeschi e il 78% degli inglesi".
In Italia risulta estremamente basso anche l'uso del mezzo pubblico. "Mentre per i bambini non ci sono differenze tra Italia e Inghilterra, 3% per entrambi i Paesi, in Germania la percentuale sale all'8", aggiunge Daniela Renzi, ricercatrice dell'Istc-Cnr. "Maggiori differenze si hanno invece per la scuola secondaria, dove l'Italia resta ferma al 3%, l'Inghilterra passa al 25% e la Germania arriva addirittura al 64%,: probabilmente per l'efficienza dei servizi pubblici, ma forse anche per maggiore fiducia dei genitori".
La possibilità di muoversi in autonomia da parte dei bambini", conclude Prisco, "permette l'esperienza fondamentale del gioco, aiuta a prevenire sovrappeso e obesità, ad acquisire maggiore sicurezza, autostima e capacità di interagire, rafforza i legami con le persone che abitano nel proprio quartiere e a sviluppare un senso di identità e responsabilità, riducendo i sentimenti di solitudine durante l'adolescenza".
Le criticità per il nostro Paese sono evidenti, tanto quanto i benefici dati dalla possibilità di muoversi in autonomia.
Occorre ripensare le regole, rivedere la normativa, ridefinire ruoli e responsabilità, affinché le scuole vengano messe nelle condizioni di includere nella propria offerta formativa, non come progetto, ma come attività curricolare, il percorso casa-scuola a piedi e in bici.
I Comuni possono adottare misure specifiche di messa in sicurezza (non come eccezione, ma come regola), nel raggio di 1 Kmq attorno alle scuole, non solo dei percorsi casa scuola, ma rendendo accessibili anche gli spazi pubblici. La proposta del Kilometro Quadrato Educativo, sperimentato e attuato a Berlino, costituisce un buon esempio.
Va ripensato anche il sistema assicurativo, includendo i percorsi casa scuola nelle competenze dell’INAIL e non delle assicurazioni integrative che le scuole si vedono obbligate a fare, come succede in altri Paesi europei, dove sono gli stessi istituti pubblici di promozione della salute e di prevenzione agli infortuni a promuovere i percorsi casa-scuola in autonomia!

 È un percorso in salita, ma urgente e necessario. Un Paese civile e avanzato si misura anche su questo. Non è possibile continuare a mantenere una posizione di fanalino di coda, che vede solo il 10% dei bambini italiani che vanno a scuola in autonomia contro il 41% di quelli inglesi e il 40% dei tedeschi.

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