A scuola a piedi (e ritorno), è una pratica che per molte
generazioni era routine, senza bisogno di progetti speciali. Sono stata
accompagnata da mia mamma il primo giorno di scuola elementare. Dal giorno dopo
in poi non è più successo, non era necessario, né lo desideravo. La strada era
condivisa da pedoni, ciclisti e, certo, molte meno auto di oggi. Il percorso
quotidiano variava con il variare delle stagioni, o delle nuove amicizie, con
appuntamenti lungo la strada per arrivare insieme a scuola, mentre al ritorno
le divagazioni dipendevano da accompagnamenti reciproci, giochi e altro. Ci
conoscevano tutti i negozianti: il panettiere, il fruttivendolo, il barista, il
barbiere, l’edicolante, oltre ai vicini di casa. Nel frattempo il nostro ‘raggio
di azione’ si allargava piano piano, perché vicino c’erano anche il centro
parrocchiale, il giardino pubblico, la piazza, il fiume.
Oggi, come scrive Franco La Cecla “le città si sono
defisicizzate, fino a una dis-incarnazione quasi totale.” (Franco La Cecla,
Contro l’urbanistica, Einaudi, 2015)
La strada è fatta per le auto, una minaccia, così come una
minaccia viene percepito lo spazio aperto, pieno di insidie. Dove non c’è il
rischio di essere investito (strada), c’è un malintenzionato che ti potrebbe
aggredire (parco, spazio pubblico).
Rischi e pericoli reali o percepiti possono essere ridotti o evitati. I percorsi casa scuola possono essere messi in sicurezza. Si può creare un ‘tessuto connettivo’ e un controllo sociale che rende di nuovo fattibile ciò che un tempo rientrava nella pratica quotidiana. Fare in modo che i bambini possano camminare e andare in bici porta un grande beneficio per tutta la collettività, sotto molti aspetti. Poiché può fare da volano per ripensare l’uso dello spazio, restituendolo ai ‘corpi urbani’. Benefici per l’ambiente, per lo stile di vita, per la salute, per la sicurezza, per la socialità, per l’integrazione.
Rischi e pericoli reali o percepiti possono essere ridotti o evitati. I percorsi casa scuola possono essere messi in sicurezza. Si può creare un ‘tessuto connettivo’ e un controllo sociale che rende di nuovo fattibile ciò che un tempo rientrava nella pratica quotidiana. Fare in modo che i bambini possano camminare e andare in bici porta un grande beneficio per tutta la collettività, sotto molti aspetti. Poiché può fare da volano per ripensare l’uso dello spazio, restituendolo ai ‘corpi urbani’. Benefici per l’ambiente, per lo stile di vita, per la salute, per la sicurezza, per la socialità, per l’integrazione.
Negli anni si sono moltiplicati i progetti orientati ad una
mobilità più sostenibile; molti riguardano proprio i percorsi casa scuola. Come
in molte altre parti d’Italia, nella provincia di Treviso sono stati attivati
molti percorsi pedonali, grazie all’incontro di sensibilità e volontà di
tecnici comunali (mobility manager), genitori, azienda sanitaria locale, associazioni,
scuole. A Treviso tutti e cinque istituti comprensivi hanno lavorato e
organizzato i Pedibus, anche grazie al lavoro volontario di molti genitori. Esiste
un piano comunale per la messa in sicurezza dei percorsi casa scuola. Sono
maturate esperienze di percorsi in autonomia, laddove si sono create quelle
condizioni di sicurezza e di alleanza tra tutte le parti interessate.
È stato da poco pubblicato il volume “Andiamo a scuola da
soli! Percorsi in autonomia e movimento casa-scuola: indicazioni operative” curato
da Federica Michieletto e Susanna Morgante, promosso da Regione Veneto, MIUR
Veneto e progetto regionale Muoversì. Il testo si configura come uno strumento
utile per avviare e gestire i percorsi casa scuola, ma anche per includere
nella programmazione educativa e didattica curricolare pratiche di movimento
quotidiano, di esplorazione, di conoscenza del territorio. Abbiamo portato il
nostro contributo, nel capitolo “Oltre il Pedibus con Moving School 21. Scarpe
Blu: per una didattica della mobilità urbana a misura di bambino”, che illustra
i contenuti di un libro-manuale (“Scarpe Blu. Come educare i bambini a muoversi
in città in autonomia e sicurezza”, La Meridiana, 2013) nel quale si portano ad
esempio alcune buone pratiche italiane ed europee, oltre che molti materiali
didattici.
I tempi appaiono dunque maturi per fare il salto di qualità
dalle buone pratiche alle politiche, ovvero dal superamento del progetto che
diviene regola e comportamento quotidiano. Non è così. Cambi di amministrazione
sovente implicano la sospensione, quando non l’affossamento, di pratiche
consolidate. Per disinteresse, per segnare una discontinuità con il passato
(senza andare a vedere cosa funziona e che cosa no), per la non comprensione
del loro valore.
Ma non sono solo le amministrazioni locali a ‘rallentare’ o
mandare in stand-by lo sviluppo capillare dei percorsi casa-scuola. Sono anche
scuole (non tutte) le cui dirigenze scolastiche ‘frenano’ e in qualche caso
vietano la promozione dei percorsi casa scuola, soprattutto se si parla di percorsi
in autonomia.
Lo scorso anno scolastico la direzione generale dell’Ufficio
Scolastico Regionale del Veneto, in data 1 dicembre 2014, ha inviato una
comunicazione con indicazioni relative all’uscita autonoma da scuola degli
alunni. L’enfasi è posta sul dovere di vigilanza e le necessità di disciplinare
le modalità di adempimento dello stesso, sulle responsabilità, sui riferimenti
alla giurisprudenza in materia di uscita autonoma degli alunni. Attenzione dovuta
e sacrosanta, che tuttavia toglie ‘respiro’ e ‘spazio’ all’ultima parte della
comunicazione, che riguarda “le modalità di svolgimento del dovere di vigilanza
nei casi eccezionali di uscita autonoma”. Già il dato dell’eccezionalità
inibisce l’adozione di decisioni in merito ai percorsi casa-scuola in autonomia
(in ogni caso sconsigliati). Se si va a leggere il testo con attenzione, si
intravvede la possibilità, se pur in forma ambigua, di adottare strategie che
permettano l’uscita in autonomia, laddove si stringano alleanze tra scuola,
famiglie, enti locali. Un segnale molto debole, che meriterebbe ulteriori e
necessari approfondimenti, se davvero si vuole “promuovere i percorsi in
autonomia e movimento casa-scuola”.
È disponibile ampia documentazione, nazionale e
internazionale, nonché dossier e strategie promosse tanto dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità, tra le quali la Carta di Toronto, quanto dalla
Commissione Europea.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche da anni ha avviato il
progetto internazionale “La città dei bambini”; in quell’ambito trova ampio spazio
l’ iniziativa “A scuola ci andiamo da
soli”. Due anni fa sono stati pubblicati gli esiti della ricerca internazionale
“Children’s Independent Mobility - La
mobilità autonoma come aspetto critico dello sviluppo dei bambini e della
qualità della vita” cui ha partecipato l'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione
del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr), promossa dal Policy
Studies Institute di Londra, che ha coinvolto l’Italia, la Germania e altri 15
Paesi del mondo. I
dati italiani sono pubblicati sul sito: http://www.lacittadeibambini.org/ricerca/allegati/Report%20italiano1.pdf
“La
mobilità infantile è uno degli aspetti che ha maggiormente risentito della
grande trasformazione dell'ambiente urbano, con ricadute negative sul benessere
e sullo sviluppo psico-fisico. L'autonomia di spostamento dei bambini italiani
nell'andare a scuola si è ridotta, passando dall'11% nel 2002 al 7% nel 2010,
mentre l'autonomia dei bambini inglesi è al 41% e quella dei tedeschi al
40%", spiega Antonella Prisco, ricercatrice dell'Istc-Cnr. "Per il
tragitto di ritorno, soltanto l'8% dei bambini italiani lo compie da solo, a
fronte del 25% dei coetanei inglesi e del 76% dei tedeschi. Il divario di
autonomia con gli altri paesi sul percorso casa-scuola permane ampio anche per
i ragazzi delle medie inferiori: il 34% degli italiani, contro il 68% dei
tedeschi e il 78% degli inglesi".
In
Italia risulta estremamente basso anche l'uso del mezzo pubblico. "Mentre
per i bambini non ci sono differenze tra Italia e Inghilterra, 3% per entrambi
i Paesi, in Germania la percentuale sale all'8", aggiunge Daniela Renzi, ricercatrice
dell'Istc-Cnr. "Maggiori differenze si hanno invece per la scuola
secondaria, dove l'Italia resta ferma al 3%, l'Inghilterra passa al 25% e la
Germania arriva addirittura al 64%,: probabilmente per l'efficienza dei servizi
pubblici, ma forse anche per maggiore fiducia dei genitori".
La
possibilità di muoversi in autonomia da parte dei bambini", conclude
Prisco, "permette l'esperienza fondamentale del gioco, aiuta a prevenire
sovrappeso e obesità, ad acquisire maggiore sicurezza, autostima e capacità di
interagire, rafforza i legami con le persone che abitano nel proprio quartiere
e a sviluppare un senso di identità e responsabilità, riducendo i sentimenti di
solitudine durante l'adolescenza".
Le criticità per il nostro Paese sono evidenti, tanto quanto
i benefici dati dalla possibilità di muoversi in autonomia.
Occorre ripensare le regole, rivedere la normativa, ridefinire
ruoli e responsabilità, affinché le scuole vengano messe nelle condizioni di
includere nella propria offerta formativa, non come progetto, ma come attività
curricolare, il percorso casa-scuola a piedi e in bici.
I Comuni possono adottare misure specifiche di messa in
sicurezza (non come eccezione, ma come regola), nel raggio di 1 Kmq attorno
alle scuole, non solo dei percorsi casa scuola, ma rendendo accessibili anche
gli spazi pubblici. La proposta del Kilometro Quadrato Educativo, sperimentato
e attuato a Berlino, costituisce un buon esempio.
Va ripensato anche il sistema assicurativo, includendo i
percorsi casa scuola nelle competenze dell’INAIL e non delle assicurazioni
integrative che le scuole si vedono obbligate a fare, come succede in altri
Paesi europei, dove sono gli stessi istituti pubblici di promozione della
salute e di prevenzione agli infortuni a promuovere i percorsi casa-scuola in
autonomia!
È un percorso in
salita, ma urgente e necessario. Un Paese civile e avanzato si misura anche su
questo. Non è possibile continuare a mantenere una posizione di fanalino di
coda, che vede solo il 10% dei bambini italiani che vanno a scuola in autonomia
contro il 41% di quelli inglesi e il 40% dei tedeschi.
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